Il 2017 a sorpresa è stato l'anno della moneta unica. Una rivalutazione del 15% circa. E questo rialzo, ancora una volta, dimostra come nel breve periodo, le aspettative, la psicologia ed il seguire i leader generi movimenti sui mercati che esulano dalla macroeconomia e dai fondamentali.
Nel 2017 la crescita del PIL negli Usa e nella maggior parte dei paesi emergenti o periferici è stata superiore a quella europea, eppure il dollaro e le altre valute hanno perso nei confronti dell'Euro.
La Fed ha aumentato i tassi e il rendimento dei titoli Usa al 2,5% contro il rendimento zero o negativo europeo (a parità di rating) è emblematico, eppure, il dollaro si è svalutato. E' così è accaduto per Canada, Australia, Cina, Inghilterra, tutti paesi che hanno attuato rialzo dei tassi ma che hanno avuto la moneta penalizzata.
Il mercato ha scontato anche un'inflazione con obiettivo al 2% in Europa dichiarato da Draghi mai nemmeno avvicinato.
Unico elemento a favore dell'euro è stato il QE. Il rialzo dei tassi negli paesi indicati sopra ha in concomitanza attuato una riduzione o il totale annullamento della politica di acquisto di titoli da parte delle banche centrali.
Ma anche quest'ultimo punto favorevole all'Euro verrà meno, da gennaio con la riduzione alla metà degli importi mensili precedenti (da 60 a 30 miliardi) oggetto del QE e da settembre dovrebbe terminare completamente.
Inoltre, la crescita in Europa è prevista inferiore rispetto al 2017 e mentre i tassi rimarrano invariati in Europa (per lo meno fino a quando non saranno costretti) negli altri paesi, a partire dagli Usa, avranno rialzi già programmati. Sembra improbabile che i capitali restino in Europa per ottenere un rendimento pari anzichè spostarsi altrove ed essere gratificati con rendimenti oltre il 2%.
La stessa BCE ha dichiarato che l'Euro non rispecchia i fondamentali e che sarà fisiologico un suo ritorno entro valutazioni più adeguate. Ecco perchè il 2018 difficilmente darà soddisfazione ad altre valute, ma non alla moneta europea.
Nel 2017 la crescita del PIL negli Usa e nella maggior parte dei paesi emergenti o periferici è stata superiore a quella europea, eppure il dollaro e le altre valute hanno perso nei confronti dell'Euro.
La Fed ha aumentato i tassi e il rendimento dei titoli Usa al 2,5% contro il rendimento zero o negativo europeo (a parità di rating) è emblematico, eppure, il dollaro si è svalutato. E' così è accaduto per Canada, Australia, Cina, Inghilterra, tutti paesi che hanno attuato rialzo dei tassi ma che hanno avuto la moneta penalizzata.
Il mercato ha scontato anche un'inflazione con obiettivo al 2% in Europa dichiarato da Draghi mai nemmeno avvicinato.
Unico elemento a favore dell'euro è stato il QE. Il rialzo dei tassi negli paesi indicati sopra ha in concomitanza attuato una riduzione o il totale annullamento della politica di acquisto di titoli da parte delle banche centrali.
Ma anche quest'ultimo punto favorevole all'Euro verrà meno, da gennaio con la riduzione alla metà degli importi mensili precedenti (da 60 a 30 miliardi) oggetto del QE e da settembre dovrebbe terminare completamente.
Inoltre, la crescita in Europa è prevista inferiore rispetto al 2017 e mentre i tassi rimarrano invariati in Europa (per lo meno fino a quando non saranno costretti) negli altri paesi, a partire dagli Usa, avranno rialzi già programmati. Sembra improbabile che i capitali restino in Europa per ottenere un rendimento pari anzichè spostarsi altrove ed essere gratificati con rendimenti oltre il 2%.
La stessa BCE ha dichiarato che l'Euro non rispecchia i fondamentali e che sarà fisiologico un suo ritorno entro valutazioni più adeguate. Ecco perchè il 2018 difficilmente darà soddisfazione ad altre valute, ma non alla moneta europea.
Commenti
Posta un commento